SIAMO MOLTO SCONCERTATI DALLA DICHIARAZIONI DI IERI DEL PRESIDENTE COLDIRETTI TRENTINO CALLIARI CHE HA PUNTATO IL DITO CONTRO "GLI AMBIENTALISTI" DOPO IL TAGLIO DI 1200 PIANTE NEL MELETO INTENSIVO DI CALLIOL-CESIOMAGGIORE. RESPINGIAMO CON FORZA AL MITTENTE QUESTE IMMOTIVATE E INSENSATE ACCUSE E RIBADIAMO CHE IN UN PAESE CIVILE E DEMOCRATICO E' VITALE CHE I CITTADINI, NON POSSANO, MA DEBBANO, PARTECIPARE ALLE SCELTE CHE VENGONO FATTE IN UN TERRITORIO. ACCUSARE I COMITATI E LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE, CHE IN QUESTI MESI HANNO INFORMATI, ORGANIZZATO SERATE PUBBLICHE, PROMOSSO RACCOLTE E' INSENSATO. NELL'ATTESA DI COSTRUIRE UN DOCUMENTO CONDIVISO RIPORTIAMO I 2 ARTICOLI E RIBADIAMO CHE NOI NON CEDIAMO ALLE INTIMIDAZIONI DI ALCUNO.. E PORTEREMO AVANTI LA NOSTRA AZIONE.. NON SAREMO MAI COSì...
GLI ARTICOLI:
TRENTO — «Non mi sarei mai aspettato una ritorsione di questo tipo ma, a posteriori, saprei contro chi puntare il dito: sono stati gli ambientalisti». Gabriele Calliari, presidente di Coldiretti Trentino Alto Adige, espone senza timore le proprie convinzioni in merito alla mano (ma non si tratterebbe di un singolo autore) che nella notte tra mercoledì e giovedì ha devastato con roncole e forbici oltre 1.200 piante del meleto «La Feltrina», a Cesiomaggiore, nel bellunese, di cui è compropietario insieme ad altri tre soci.
Un atto vandalico mirato che Calliari non stenta a definire «mafioso». «Il danno si aggirerà sui 15-20mila euro — spiega il presidente degli agricoltori —. Che sia poco o molto denaro, a farmi male è il gesto. È la mafia, quello che non accetto, e anche se non ne ho la certezza mi sono fatto un’opinione abbastanza precisa di chi può essere stato. Forse sbaglierò e ci penseranno le indagini dei carabinieri ad accertarlo, ma in matematica uno più uno fa due. Mi tocca pensare così. Basta andare su internet, sui siti degli ambientalisti, e se ne leggono di tutti i colori: abbiamo sempre incassato, ma ora non è difficile capire contro chi puntare il dito».
Accuse piuttosto precise, per quanto non palesemente indirizzate ad alcuno. Quel che è certo è che, da un anno a questa parte, l’arrivo di Calliari e soci nel bellunese ha dato fastidio a molti: agricoltori, cittadini, sigle ambientaliste, comitati e autonomi locali non hanno mai risparmiato critiche e dubbi rispetto alla salubrità dei prodotti chimici utlizzati a «La Feltrina» per concimare e fertilizzare i meleti, così come sui lavori che hanno interessato l’appezzamento rilevato dai trentini. Raccolte firme, assemblee e serate pubbliche hanno accompagnato gli articoli con cui la stampa locale ha dato eco ai dubbi della popolazione. I due comitati più attivi, però, oggi prendono le distanze dalle accuse mosse da Calliari e arrivano a minacciare querele. «Come comitato ci siamo sempre comportati in maniera correttissima ponendo domande legittime agli aministratori pubblici, ed è gravissimo che il dialogo democratico venga scambiato per eversione — sbotta Tiziano Fantinel, attivista del comitato locale Prà Gras —. Essere accusati senza prove è assurdo e sconcertante; se Calliari non abbandonerà questo atteggiamento saremo costretti a rivolgerci alla Procura. Se fossimo stati professionisti della contestazione e avessimo voluto passare alle maniere forti, nessuno di noi ci avrebbe messo la faccia esponendosi».
Imbestialito anche Eugenio Garlet, presidente del comitato Chimica Free: «Non siamo ambientalisti, siamo cittadini che vogliono lasciare ai loro figli un ambiente sano e coltivato in modo tradizionale. Calliari non ci convincerà che quel che ha fatto qui è tutto buono e bello, ma se lo hanno autorizzato la colpa è del Comune. Noi vogliamo e chiediamo dialogo, se un cittadino di Cesio avesse fatto una cosa del genere mi vergognerei di appartenere a questa comunità e, prima ancora di denunciarlo, lo sistemerei io».
Calliari, intanto, non si perde d’animo e promette: «Non solo non ce ne andiamo, ma se qualcuno vendesse punterei ad espandermi. Siamo andati nel bellunese per mettere radici e ci rimarremo». Intanto sul sito web anonimo di ispirazione no-global Dolomiti Toxic Tour campeggiano interventi, filmati, volantini e scritte che prendono di mira i 16 ettari de «La Feltrina», accusata di aver fatto del bellunese «terra di conquista per l’agricoltura intensiva a base di pesticidi e fitofarmaci» con «apporti di materiale edile di dubbia provenienza».
Silvia Senette
E questo il testo dell’appoggio:
TRENTO — «Cesio ha gli strumenti per salvaguardare il suo territorio, le sue tradizioni, la sua dignità. Non facciamoci colonizzare dagli altri». Così, dalle pagine del Gazzettino, parlava solo pochi mesi fa l’allora presidente della Provincia di Belluno, Sergio Reolon, invitando i cittadini a resistere all’«invasione» degli agricoltori trentini. Ora, all’indomani della devastazione vandalica all’azienda agricola La Feltrina, Reolon non sembra aver cambiato opinione. «Ovviamente atti di questo tipo vanno condannati — premette il politico veneto —. Sono esterrefatto: non è abitudine dei bellunesi, gente combattiva ma civile, agire in questo modo. Certo, però, apprezzo e appoggio l’iniziativa di chi si batte per un uso sano del territorio in nome del tipo di sviluppo e di agricoltura che vogliamo per il nostro futuro. Questo disastro poteva essere evitato con il dialogo tra proprietà e cittadini; un dialogo — spiega Reolon — che non c’è stato. Non si può venire qui, comprare e cominciare i lavori senza giustificare niente a nessuno. Questi sono terreni in cui si fa agricoltura povera, con patate, orzo, fagioli, mais sponcio... L’arrivo di un’agricoltura industriale con dietro grandi capitali ha preoccupato i contadini e ha fatto salire il prezzo dei terreni; ora molti potrebbero essere invogliati a vendere. Un’impresa agricola — ribadisce l’ex presidente — non può imporsi e colonizzare un territorio senza dare garanzie sulla salute pubblica. Forse al Comune ha fatto comodo pensare che le garanzie fornite fossero sufficienti, ma la gente non la pensa così. Però mi metto nei panni del sindaco: si sarà trovato in difficoltà a dire di no a chi arriva, compra, coltiva e dà uno scossone all’economia. La cosa, però, si poteva gestire in modo diverso». Quindi la sua lettura di quanto accaduto: «Conosco la gente di Cesio, è gente onesta, e non associo minimamente queste persone all’atto vandalico a Le Feltrine. Non metto in dubbio che qualcuno possa essere arrivato all’esasperazione, abbandonando la protesta civile in virtù della violenza, ma mi rifiuto di pensare a un atto collettivo».Si. Sen.
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3 commenti:
Ci vorrebbero tutti muti e ciechi E che muoviamo la testa per fare si
Assurdo!
qui in provincia di Belluno tutti vengono comandano, insultano e fanno cio che vogliono. Quando ci svegleiremo?
Un azione come questa non puo' essere giudicata se non si sa chi la ha fatta e perchè Io credo che abbia ragione Arboit quando parla di azione tra imprenditori Lui vede lungo
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