venerdì 12 novembre 2010

SULLA QUESTIONE PROPOSTA DI CENTRALINA VAJONT..


RIPORTIAMO DUE INTERVENTI MOLTO BELLI INERENTI LA PROPOSTA DI REALIZZAZIONE DI UNA CENTRALINA SUL VAJONT

Miserie e ricchezze

La funesta parola “sfruttamento” torna ad affacciarsi sul Vajont. Già c’erano stati, in passato, altri progetti, tutti giustamente naufragati sull’onda dell’indignazione che avevano suscitato. Ora viene presentato il progetto di un nuovo impianto idroelettrico, i cui contenuti sono ancora tutti da chiarire, ma che ha comunque un inaccettabile punto di partenza: l’utilizzo dell’acqua del torrente Vajont, in un territorio dove la logica della privatizzazione di un bene comune, l’acqua, è arrivata alle sue estreme conseguenze.

La parola “sacro” non va spesa alla leggera, ma quel territorio, quella diga, quei paesi non possono essere un’altra volta oggetto di sfruttamento in nome di un malinteso “sviluppo”. Quel territorio e quell’acqua sono “sacri” perché non soltanto conservano i segni di una tragedia, ma custodiscono una memoria comune, delle popolazioni del Vajont e dell’umanità intera.

Il Vajont ha ottenuto nel 2008 (Anno internazionale del Pianeta Terra) un riconoscimento significativo dall’Onu: quello di essere stata la più grande tragedia al mondo che si poteva evitare, provocata dall’incuria umana, cioè dall’uomo e non dalla natura, esempio negativo del fallimento di ingegneri e geologi. Il Vajont è così entrato al primo posto di una graduatoria mondiale che, per quanto “negativa”, lancia un monito a lavorare tutti per evitare che tragedie simili si ripetano. Se le cause della tragedia del Vajont sono da ricercare nella corsa al profitto e nello sfruttamento delle risorse della natura, l’iniziativa propugnata dalle Società EN&EN – Martini e Franco e dalle Amm. di Castellavazzo, Longarone ed Erto Casso va nella direzione opposta.

L’affermazione più sconcertante viene da Franco Roccon, sindaco di Castellavazzo, che rende più che esplicito il punto di caduta culturale e politico: l’Associazione Superstiti e Comitato sopravvissuti, dice Roccon, “difendono la memoria”, mentre gli altri, quelli che “vivono oggi sui territori devastati un tempo dalla tragedia, guardano al futuro”. I superstiti, dunque, sarebbero persone prigioniere di un passato che non vuol passare, ancorati a una tragedia superata? E a quale futuro bisognerebbe guardare?

Il “futuro” è contenuto nel nuovo progetto idroelettrico che evidentemente tanto “progetto” non è, visto che già ci sono accordi precisi con il Bim Gsp, che gestirà l’opera e di cui è presidente, guarda caso, proprio il sindaco Roccon. Nessuno, fino ad oggi, ne sapeva niente: ma evidentemente il piano è già stato presentato negli uffici e condiviso dai sindaci, prima ancora di essere sottoposto alla discussione e al vaglio della popolazione.

Quel “futuro” è un passato già visto. Già visto sul Vajont, dove la gente a suo tempo è sempre stata tenuta all’oscuro di che cosa si consumava sulla sua pelle. Già visto nei molti comuni dove in anni più recenti si è continuato a saccheggiare un bene comune, l’acqua, e a compromettere l’ambiente e gli ultimi torrenti della montagna con la richiesta e la costruzione di decine di nuove centrali idroelettriche. La filosofia di fondo è ancora quella di una volta: “valorizzare”, “sfruttare”, “utilizzare” fino all’ultima goccia l’acqua della montagna, in nome dello “sviluppo” e assecondare la progressiva privatizzazione di Beni Comuni paradossalmente riconosciuti come Patrimonio dell’Umanità.

Altro che ricchezza inutilizzata, è l' assenza di un’idea di futuro sostenibile fondata sulla bellezza di queste montagne la vera miseria, che non è povertà: è la miseria di amministratori rassegnati che si dicono costretti a svendere il territorio per far fronte ai tagli indiscriminati di un governo “amico” e federalista, è la miseria morale di chi dice che il passato è passato e che è meglio sfruttare noi ogni rivolo d’acqua comprese quelle del Vajont prima che ci pensi qualcun altro.

La storia del Vajont in realtà ci ha lasciato l’inesauribile valore e testimonianza di chi ha denunciato gli scempi del prima e del dopo, di chi ha lottato per la giustizia sociale ed ambientale, di chi ha sempre ribadito che la dignità e la memoria non avevano e non hanno un prezzo.

Da questi esempi e da questa ricchezza partiranno i cittadini bellunesi per impedire la realizzazione di questo progetto.

Associazione culturale “Tina Merlin” – Comitato Acqua Bene Comune


Centralina sul Vajont? No, grazie. Dopo quarantasette anni da quella tragica notte, la lezione non è bastata* di Riccardo Sartor

Non è bastata la falsità della Sade e la complicità degli organi statali. Non è bastata l’arroganza degli uomini che allora portarono alla catastrofe il 9 ottobre 1963. Non è bastata nemmeno la compravendita delle licenze dopo il disastro, il miracolo economico della legge Vajont, i grossi industriali e le loro speculazioni, le ignobili pene inflitte ai colpevoli, il mancato sostegno morale per i sopravvissuti, la diversa ricostruzione dei paesi disastrati, la verità insabbiata per anni nell’oblio e le ruspe sopra i morti nel cimitero rivoltato come un calzino. Forse nulla di tutto questo ci ha fatto capire i profondi valori che si celano dietro la parola “Vajont”. A cosa è servito istituire la giornata della memoria delle vittime dei disastri industriali e a ricordare ogni anno quei duemila morti, quando poi si decide di riutilizzare le acque del Vajont a scopo idroelettrico? Con le carte già in mano (ovviamente la questione morale è un “surplus” eventuale, l’ultimo dei problemi), ci hanno rassicurato sul fatto che il progetto della centralina «non interferisce nel bacino del Vajont, né reca turbative di carattere ambientale». Poi ci hanno detto il motivo di questa nuova centralina: «Visti i continui tagli alle amministrazioni locali, la centralina ci consentirà di avere risorse». Ecco! Oggi come allora gli stessi interessi: certo più contenuti, manovrati per scopi forse ben più nobili di allora, ma in fondo parliamo sempre di “schéi”. Soldi, maledetti, che fanno gola a molti, ed una cordata di imprenditori, fra cui la nota En&En, pronti a mettere le mani su quell’acqua. Cosa non è disposto a fare l’uomo per l’odore del denaro? I comuni italiani, pur di far cassa per coprire debiti e bilanci in rosso, stanno facendo qualsiasi cosa. Spesso svendono il proprio patrimonio storico e artistico. Qui si vuole svendere per qualche soldo la memoria di questa valle e di un importante pezzo di storia italiana, così pure la propria coscienza e la consapevolezza di essere cittadini del dopo Vajont, di vivere e di camminare ogni giorno sul teatro di quella “tragedia greca”. Si vuole svendere il proprio passato, che poi è anche il futuro delle generazioni che verranno. Coloro che, anche solamente, pensano a queste idee dovrebbe vergognarsi. E noi tutti dovremo indignarci per tale oltraggio alla memoria. Non solo per quelle duemila vittime innocenti, ma per tutto ciò che il Vajont è stato, è e sarà. Forse tutto questo alcuni amministratori non l’hanno ancora capito. Il teatro di quella tragedia, che forse troppo spesso dimentichiamo essere stata causata dall’uomo, ha un valore simbolico imprescindibile, preponderante ed invalicabile da qualsiasi idea di sfruttamento delle acque del Vajont. Perché, invece, sindaci e amministratori non si attivano per impedire ogni possibile futuro utilizzo idroelettrico di quell’acqua? Meditate gente. Meditate. Perché sulla memoria del Vajont non si scherza.

Riccardo Sartor - Feltre

4 commenti:

Anonimo ha detto...

.............abbiamo rotto i........... 25.000..........

no forgialluminio ha detto...

tenuto conto dello stop e del riavvio del contatore a gennaio 2009.. possiamo dire di aver superato le 40mila visite!!

Anonimo ha detto...

Molto belli questi post MI fa rabbia sapere di certi progetti Ma a farmi rabbia sono si coloro che li propongono ma anche e soprattutto quelle persone che appoggiano tali progetti. Ma avete ancora una dignità? o per soldi vi siete venduta anche quella?

centralina ha detto...

Complimenti per i visitatori!